Quando senti la storia di una persona che ha lasciato tutto, la famiglia, il paese, gli amici, per migliorare la propria condizione, capisci quante difficoltà la vita ti possa mettere davanti, quanto il mondo possa essere crudele e la vita dura, ma comprendi anche che non bisogna mai arrendersi.
Oggi grazie a Karamo Ceesay, che ci ha raccontato la sua storia, abbiamo imparato tanto.
Ci ha detto, mentre ci narrava della sua partenza dal Gambia: “Nel mio zainetto non ho messo oggetti di alto valore, ma ne ho messo solamente uno, che per me vale più di tutti gli altri messi assieme: la speranza, tanta speranza.” E, riflettendoci, quanto è difficile riuscire a non mollare mai, in circostanze del genere, dove l’unica certezza, spesso, è l’incertezza stessa?
Davvero tanto.
Karamo, e molti altri come lui, hanno forza e coraggio da ammirare: forza di fronte a un futuro sconosciuto, pieno di rischi e sacrifici; coraggio di sperare in una vita migliore, in una sicurezza maggiore e in nuove opportunità.
Quando gli abbiamo chiesto come è riuscito a non perderla mai questa speranza, anche dopo le torture nelle carceri libiche, lui ha risposto che spesso si può pensare di mollare, di arrendersi, ma poi c’è quella vocina che ti dice di avere coraggio, di andare avanti, ed è quella che ti dà forza e che mantiene viva la speranza, che è la cosa più preziosa.
Riflettendo sulle sue parole di oggi abbiamo imparato che i migranti spesso vengono trattati come merce, che sono vittime di razzismo nei paesi in cui arrivano e che spesso viene tolta loro la dignità, ed è questo il crimine più atroce, oltre alle innumerevoli violenze fisiche, alla paura e alla fatica di dover affrontare un viaggio carico di sofferenze, oltre a vedere i propri compagni che muoiono in mare; la cosa più atroce è che queste persone vengono trattate in modo disumano, come se non fossero nostri pari, come se non fossero esseri umani anche loro.
Oggi quando alla domanda “Rifaresti questo viaggio?” Karamo ha risposto che no, non lo rifarebbe, abbiamo appreso quanto tutte le sofferenze e la paura non valgano un luogo ritenuto migliore. Così abbiamo capito che i “porti sicuri” per chi migra sono ben pochi, ed è per questo che dobbiamo aiutarci a vicenda, perché, come dice Karamo, “l’integrazione non si fa da soli”. Allora, se siamo tutti uomini e donne che vivono nello stesso mondo, gli uni accanto agli altri, comportiamoci come tali, siamo una comunità unita e solidale, costruiamo un mondo di pace.
Egle Licciardello e Viola Pulvirenti 1C
Tatiana Severi
Docente